Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Saluto il Cardinale Zuppi, Mons. Baturi e Mons. Ghizzoni, e saluto tutti voi, referenti diocesani e regionali dei Servizi tutela minori e dei Centri di ascolto. Voi rappresentate l’impegno della Chiesa in Italia nel promuovere una cultura di tutela per i minori e i più vulnerabili. Vi accolgo a conclusione del vostro primo incontro nazionale, nella giornata in cui, per il terzo anno, tutte le comunità ecclesiali in Italia sono coinvolte nella preghiera, nella richiesta di perdono e nella sensibilizzazione riguardo a questa dolorosa realtà. Questo è importante: il coinvolgimento di tutto il popolo di Dio. E mi congratulo anche perché avete risposto prontamente all’invito con il rapporto sulla vostra rete territoriale. Grazie.
Per questo appuntamento avete scelto come tema La bellezza ferita. «Curerò la tua ferita e ti guarirò dalle tue piaghe» (Ger 30,17). Nel vostro servizio, lasciatevi guidare da questa certezza annunciata dal profeta Geremia: il Signore è pronto a guarire ogni ferita, anche la più profonda. Perché ciò avvenga, però, sono necessari la nostra conversione e il riconoscimento delle nostre mancanze. Non ci possiamo fermare nell’azione di tutela dei minori e dei vulnerabili e, allo stesso tempo, di contrasto a ogni forma di abuso, sessuale, di potere o di coscienza. A questo proposito, vorrei suggerirvi tre verbi, da cui trarre orientamento per ogni iniziativa: custodire, ascoltare e curare.
Innanzitutto, custodire: partecipare attivamente al dolore delle persone ferite e far sì che tutta la comunità sia responsabile della protezione dei minori e di chi è più vulnerabile. Tutta la comunità cristiana, nella ricchezza delle sue componenti e competenze, dev’essere coinvolta, perché l’azione di tutela è parte integrante della missione della Chiesa nella costruzione del Regno di Dio. Custodire significa orientare il proprio cuore, il proprio sguardo e il proprio operato a favore dei più piccoli e indifesi. È un percorso che richiede un rinnovamento interiore e comunitario, nella giustizia e nella verità. Chi custodisce, chi custodisce il proprio cuore, sa che «nessun silenzio o occultamento può essere accettato in tema di abusi» – questa non è materia negoziabile -; e sa anche che è importante «perseguire l’accertamento della verità e il ristabilimento della giustizia all’interno della comunità ecclesiale, anche in quei casi in cui determinati comportamenti non siano considerati reati per la legge dello Stato, ma lo sono per la normativa canonica» (cfr Cei-Cism, Linee Guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili). Custodire vuol dire anche prevenire le occasioni di male, e questo è possibile soltanto attraverso una costante attività di formazione, volta a diffondere sensibilità e attenzione alla tutela dei più fragili. E questo è importante anche fuori dal nostro mondo ecclesiastico. Pensate che, secondo le statistiche mondiali, tra il 42 e il 46 per cento degli abusi si fanno in famiglia o nel quartiere. Zitto, si copre tutto: gli zii, i nonni, i fratelli, tutto. Poi, nel mondo dello sport, poi nelle scuole, e così via.
Il secondo elemento è ascoltare. Per custodire occorre saper ascoltare, mettendo da parte ogni forma di protagonismo e interesse personale. L’ascolto è movimento del cuore ed è anche un’opzione fondamentale per mettere al centro di ogni nostra azione chi ha sofferto o sta soffrendo e chi è più fragile e vulnerabile. Pensiamo a Gesù che accoglie i bambini e tutti i “piccoli” (cfr Mt 19,14). L’ascolto delle vittime è il passo necessario per far crescere una cultura della prevenzione, che si concretizza nella formazione di tutta la comunità, nell’attuazione di procedure e buone prassi, nella vigilanza e in quella limpidezza dell’agire che costruisce e rinnova la fiducia. Solo l’ascolto del dolore delle persone che hanno sofferto questi terribili crimini apre alla solidarietà e spinge a fare tutto il possibile perché l’abuso non si ripeta. Questa è l’unica via per condividere realmente ciò che è accaduto nella vita di una vittima, così da sentirsi interpellati a un rinnovamento personale e comunitario. Siamo chiamati a una reazione morale, a promuovere e a testimoniare la vicinanza verso coloro che sono stati feriti da un abuso. Saper ascoltare è prendersi cura delle vittime. «Riparare i tessuti lacerati della storia è un atto redentivo, è l’atto del Servo sofferente, che non ha evitato il dolore, ma ha preso su di sé ogni colpa (cfr Is 53,1-14). Questa è la via della riparazione e della redenzione: la via della croce di Cristo» (Discorso ai membri della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, 5 maggio 2023).
Solo percorrendo la strada del custodire e dell’ascoltare è possibile curare. In questo tempo si è diffusa la cultura dello scarto, al contrario di ciò che dice il Vangelo; le nostre comunità devono essere una salutare provocazione per la società, nella loro capacità di farsi carico degli errori del passato e di aprire percorsi nuovi. La “cura” delle ferite è anche opera di giustizia. Proprio per questo è importante perseguire coloro che commettono tali crimini, ancor più se in contesti ecclesiali. E loro stessi hanno il dovere morale di una profonda conversione personale, che conduca al riconoscimento della propria infedeltà vocazionale, alla ripresa della vita spirituale e all’umile richiesta di perdono alle vittime per le proprie azioni.
Esprimo, pertanto, apprezzamento per le realtà che voi rappresentate, Servizi per la tutela dei minori e Centri di ascolto, diffusi in tutto il Paese come luoghi cui riferirsi per trovare ascolto. Continuate a compiere ogni sforzo. E prendetevi cura anche di una cosa molto brutta che succede, che sono i filmati pornografici che usano i bambini. Questo succede, anzi, è a portata di mano di chiunque paghi, sul telefonino. Dove si fanno, questi filmati? Chi è il responsabile? In quale Paese? Per favore, lavorare su questo: è una lotta che dobbiamo fare perché si diffonde nei telefonini la cosa più brutta. Continuate a compiere ogni sforzo perché tutti coloro che sono stati feriti dalla piaga degli abusi possano sentirsi liberi di rivolgersi con fiducia ai Centri di ascolto, trovando quell’accoglienza e quel sostegno che possano lenire le loro ferite e rinnovare la fiducia tradita. Curare è condividere passione ecclesiale e competenze con l’impegno a formare il maggior numero possibile di operatori pastorali. Così si promuove un vero e proprio cambio culturale che metta al centro i più piccoli e vulnerabili nella Chiesa e nella società. Questa vostra azione ecclesiale può favorire la crescita dell’attenzione nell’intera società italiana su questa piaga che purtroppo coinvolge tanti, troppi, minori e adulti.
I risultati della rilevazione sulle attività dei Servizi e dei Centri che oggi mi avete consegnato mettono in luce proprio il bene che sapete compiere sul territorio, facendovi prossimi a chi ha patito una ferita lacerante. Quello che state facendo è prezioso sia per le vittime sia per tutta la comunità ecclesiale. Emerge da queste pagine la testimonianza di un impegno costante e condiviso. Questa è la strada per creare fiducia, la fiducia che porta ad un reale rinnovamento.
Desidero, infine, ringraziarvi per il supporto che state fornendo ad altre Conferenze Episcopali; come pure per il sostegno ai piani della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori verso quei Paesi, specialmente in via di sviluppo, che dispongono di scarse risorse per la prevenzione e per l’attuazione di politiche di tutela.
Andate avanti! Vi sono vicino nel vostro lavoro e vi benedico di cuore. Prego per voi, perché il vostro lavoro non è facile; e voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me, perché il mio lavoro, anche, non è facile! Grazie.